Ricordando la darsena e il ponte levatoio sul Naviglio di Abbiategrasso
Un'istantanea del quadro di Giorgio Molinari che rappresenta la darsena di Abbiategrasso ormai scomparsa.
Incontro Giorgio Molinari in una calda mattina di giugno in Piazza Marconi ad Abbiategrasso. L'occhio è vispo e i suoi 73 anni non si manifestano con segni evidenti, se non nei ricordi. La nostra chiacchierata inizia davanti ad un caffè e prosegue attraversando le vie del centro di Abbiategrasso.
Si parla di trasporti. È curioso come si siano evoluti, siano scomparsi per poi riapparire sotto una nuova veste. La meta del viaggio era e resta Milano, la grande metropoli che raccoglie lavoratori: oggi colletti bianchi, ieri tute da operai. Giorgio ricorda ad esempio il tram che una volta giungeva ad Abbiategrasso provenendo da Porta Ticinese e terminando la sua corsa in viale Mazzini. E poi il treno: sempre lo stesso. Partiva ieri e parte oggi dalla stessa stazione. Finora niente di nuovo, la soppressione di una linea di tram, sostituita dagli autobus, e la solita vecchia stazione non suscitano in me particolare interesse.
Poi il discorso si accende. Giorgio cita il nostro canale, il Naviglio, e mi spiega come il suo corso si sia nel tempo adattato alle esigenze di una Abbiategrasso che mutava. Fino agli anni '50 navigarlo era un vero e proprio lavoro. Chi trasportava ghiaie in direzione Milano spesso ospitava persone che volevano raggiungere uno dei comuni lungo il Naviglio. Certo la navigazione non era rapida come il treno, ma permetteva di fermarsi ovunque lungo il canale. Questo rendeva la chiatta – così si chiamava il traghetto in questione – un mezzo lento ma versatile. La corrente permetteva una dolce discesa, anche se nel tratto da Abbiategrasso a Castelletto il moto contrario dell'acqua obbligava all'uso di cavalli da traino: altra cosa andata persa.
Poi sono arrivati i camion, le auto, gli autobus e tutto è mutato. Strà Vigevin – Strada per Vigevano in italiano – non riceveva più il traffico veicolare proveniente o diretto a Vigevano. Non scomparve, infatti esiste tuttora, ma perse la nomea di un tempo ed è ormai da tutti chiamata con il suo nome ufficiale: Viale Sforza. Giorgio mi racconta che prima era questa la principale direttrice che attraversava Abbiategrasso. E per dimostrarlo mi ricorda un segno evidente che si incontra lungo il Viale a cui anch'io avevo fatto caso. È quella casa color sabbia posta all'angolo di via Lamarmora che conserva la vecchia scritta "Abbiategrasso" seppur priva di un paio di lettere. È una striscia di metallo ormai destinata alla ruggine, ma che un tempo doveva apparire un bel biglietto da visita, probabilmente illuminato anche di notte.
Anche il corso del Naviglio è stato cambiato. Negli anni '60 circa, la darsena che esisteva dove oggi sorgono Piazza XXV Aprile, Via Tommaso Grossi e Via Vespucci è stata sommersa da una colata di cemento che ha reso tutto invisibile, o quasi. L'occhio più attento non si lascerà certo ingannare da quella leggera spaccatura che si è creata al centro della carreggiata di via Tommaso Grossi. La venatura non è figlia di una cattiva asfaltatura, ma emerge perché qualche metro al di sotto è presente la vecchia sponda del Naviglio. L'acqua scorre ancora lì sotto e attraversa Abbiategrasso. Sfocia dove non te lo aspetti: in quel piccolo canale che attraversa la fossa viscontea.
La vecchia sponda del Naviglio, invece, segue la strada e arriva fino in via Beno Dè Gozzadini dove era presente anche un ponte levatoio in ferro battuto costruito per le chiatte che portavano mais all'Antico Oleificio. Già perché se non lo ricordate, o se non lo avete mai saputo, dove oggi sorge un ristorante/pizzeria, ieri si producevano oli. Ma dalla metà degli anni '60 si producono altrove, soprattutto all'estero.
Quante cose sono cambiate...